giovedì 28 luglio 2011

DI PASSO IN PASSO - IL MOTORE ELETTRICO

In un mondo come quello dell'automazione, dove spesso l'occhio è puntato con attenzione alla novità, all'ultimo ritrovato, alla soluzione rivoluzionaria, può capitare di dimenticare che anche gli apparecchi di uso ormai consolidato, quelli che ci appaiono banali e scontati, un tempo sono stati delle assolute novità - e che per arrivare a lanciarli sul mercato, occorsero tempo, impegno, e inventiva. Oggi ripercorreremo i passi che portarono all'invenzione e alla commercializzazione di un oggetto la cui diffusione è oggi capillare: il motore elettrico.

La parola "elettrico", così come "elettricità", viene da "elektron", il nome greco dell'ambra - e dal fenomeno per cui, sfregando appunto un pezzetto d'ambra, questo (caricandosi di elettricità statica) poteva attrarre piccoli pezzetti di carta: un semplice giochetto, fisica da salotto. E tutti i primi esperimenti sulla forza dell'elettricità sono appunto poco più che giocattoli, incluso il più antico antenato del motore elettrico, che possiamo datare al 1821 - opera di Michael Faraday, il famoso scienziato inglese. Nulla di più semplice: un magnete immerso nel mercurio ed un filo di rame, sospeso sopra il bicchiere, che tocca appena il mercurio, e si muove, apparentemente da solo, lungo le linee circolari del campo generato dal magnete stesso. Ma i principi del motore elettrico sono già presenti, e solo sette anni dopo, nel 1828, in Ungheria, Anyos Jedlik, studioso e insegnante, costruisce il suo "autorotore elettromagnetico", il primo dispositivo a presentare le componenti essenziali - il rotore, lo statore e il commutatore - di un vero motore elettrico a corrente continua.
Come abbiamo detto, fin qui si tratta solo di giocattoli, di curiosità; ma le idee corrono veloci. Passano altri cinque anni e in Inghilterra Sturgeon costruisce il primo motore elettrico di potenza sufficiente a muovere macchinari, e dopo altri cinque anni, negli Stati Uniti, ecco comparire, ad opera di Emily e Thomas Davenport, il primo motore costruito espressamente a scopo commerciale, capace di 600 giri al minuto, e proposto per muovere macchine utensili e da stampa. L'idea è buona - ma il sistema non è pronto: nello specifico, non esiste una rete di distribuzione dell'energia elettrica, e l'alimentazione è affidata a batterie dotate di costosissimi elettrodi di zinco - troppo costosi per un mercato nascente. Il progetto dei Davenport fallisce, e il progresso del motore elettrico ha una battuta d'arresto per quasi trent'anni - nella quale spicca,nel 1855 una nuova comparsa di Jedlik, che inventa e costruisce il primo veicolo a motore elettrico.
Ma il tempo è inesorabile, e nel 1873, il belga Zenobe Gramme fa una scoperta rivoluzionaria. La dinamo da lui inventata, e che porta il suo nome, non soltanto è più efficiente delle altre
 dinamo esistenti, ma è reversibile:
se fatta girare produce elettricità, ma se viene alimentata d'elettricità
.. gira! E questo è il principio essenziale di un motore elettrico, e tutti i motori elettrici moderni sono, per struttura, discendenti della macchina Gramme. Da qui, la strada maestraè aperta, e nemmeno quindici anni più tardi, nel 1886, Frank Julian Sprague può sviluppare il primo motore elettrico capace di mantenere velocità costante al variare del carico, nonchè di ri-immettere in rete l'energia in eccesso. Si tratta di un'invenzione che, come poche altre, è protagonista nascosta dell'evoluzione della nostra cultura, e nello specifico dell'urbanizzazione: il motore di Sprague permette di costruire il sistema di treni metropolitani
 di Chicago, rendendo la città più fruibile, e soprattutto di realizzare ascensori, e quindi rendendo pratici e funzionali palazzi altissimi - il che cambia per sempre il modo di costruire edifici in città. Soltanto due anni dopo, ad opera di quella straordinaria figura della storia dell'elettricità che è Nikola Tesla, nascerà il primo motore a corrente alternata. Il resto, come si dice, è storia.

PRODOTTO DEL MESE - IO-LINK DI BALLUFF

I segnali di sensori e trasduttori devono arrivare al controller, perchè l'Automazione svolga le sue funzioni. Purtroppo, spesso, la varietà di segnali rende complessi i cablaggi necessari; ma BALLUFF, oggi, propone una soluzione ideale!

La nuova soluzione IO-Link di Balluff permette infatti di collegare sensori e trasduttori in maniera uniforme, con uno standard semplice basato sul tradizionale cavo industriale non schermato a 3 fili - una tecnologia che non richiede quindi, per l'implementazione, alcun tipo di retrofitting - e funziona in modo indipendente dal bus di campo utilizzato. I sensori e il controller Balluff, così collegati, comunicano direttamente; i setting risiedono sul controller, che li può comunicare a nuovi sensori, eliminando la necessità di una fase di teach-in , e accorciando i tempi di setup in caso di modifiche sulla linea. Inoltre l'affidabilità del sistema e la sua efficienza raggiungono livelli ben superiori, e il downtime delle macchine viene drasticamente ridotto.

Allo stesso modo, il sistema IO-Link effettua una costante diagnostica, il che innalza la produttività e riduce significativamente i costi di manutenzione.


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martedì 31 maggio 2011

5 - LA MACCHINA DA MAGLIERIA

La storia dell'Automazione Industriale, nonostante sia sicuramente risultato di secoli di idee, invenzioni e applicazioni - come abbiamo visto in questi mesi - ha il suo inizio effettivo nell'Inghilterra della Rivoluzione Industriale. Ma quasi due secoli prima che questa avesse inizio, nello stesso Paese, e perfino nello stesso settore che vide iniziare la Rivoluzione stessa - quello tessile - comparve una macchina che già preludeva, in modo evidente, alla direzione che l'Industria avrebbe preso: la macchina da maglieria di William Lee.

Calze e gambali cuciti a maglia - e naturalmente a mano - erano un elemento di abbigliamento fondamentale nell'Inghilterra
 dei Tudor, fra il 1500 e il 1600. Li indossavano gli uomini, naturalmente, ma anche le donne sotto le lunghe gonne previste dalla moda dell'epoca - un mercato enorme, dove per produrre, interamente a mano, un paio di gambali a maglia occorrevano quattro giorni di lavoro.

E' qui che entra in gioco William Lee, curato Protestante del piccolo paese di Calverton, in Inghilterra. Secondo la leggenda per liberare dal continuo lavoro a maglia una ragazza che corteggiava, più probabilmente vedendo le possibilità economiche del mercato, Lee sviluppò, in tappe successive, una macchina
che imitava esattamente i movimenti delle mani delle magliaie, ma ad un ritmo incredibilmente più sostenuto - alla fine, ben dodici volte più rapido. Poteva produrre quantità enormi di gambali di lana, e più tardi perfino di seta - ma paradossalmente, fu esattamente questo il motivo che portò la regina Elisabetta I a rifiutargli, per ben due volte, un brevetto: gli interessi dei moltissimi magliai d'Inghilterra sarebbero stati messi in pericolo da una macchina tanto più efficiente rispetto al lavoro manuale, e i tempi, evidentemente, non erano ancora maturi. Ebbe miglior fortuna in Francia, dove riparò successivamente, e ottenne un brevetto: ma purtroppo, la sua nascente fabbrica a Rouen e le sue aspirazioni furono schiacciate dal clima crescentemente ostile per la sua nazionalità e la sua religione. Morì in grandi ristrettezze, a Parigi, nel 1614.

Sebbene non abbia avuto fortuna, William Lee è quindi, con la sua macchina da maglieria, uno dei più prossimi precursori di quell'evento epocale che fu la Rivoluzione Industriale - l'evento da cui discende buona parte del nostro mondo moderno, e da cui sicuramente dipese la nascita del nostro lavoro sull'Automazione. La forma ad uncino degli aghi della sua macchina è ancora identica, quattro secoli dopo, nelle macchine da maglieria moderne; e così la sua idea guida di inventare, e migliorare costantemente, macchine come quelle che, ogni giorno, muovono la nostra Industria.